Dal 1978 Renato Meneghetti ha elaborato un suo linguaggio artistico attraverso la “finzione” della tecnica radiografica fino ad applicarla ai soggetti pittorici dei Grandi Maestri del passato. Gillo Dorfles fu il primo ad attribuire alla ricerca di Renato Meneghetti e all’uso delle radiografie una rilevanza critica, fortemente innovativa, capace di aprire nuovi linguaggi per l’arte contemporanea in Italia. Achille Bonito Oliva ha evidenziato con grande efficacia le capacità di Meneghetti di ricostruire, di fatto distruggendo, l’oggetto dall’inconscio, arrivando ad affrontare l’origine dell’esistenza.
Una ricerca maturata “guardando dentro” ad una infinità di oggetti e di capolavori pittorici di tutti i tempi da Caravaggio, a Giotto, da Perugino, a Michelangelo, a Leonardo da Vinci, fino a Van Gogh, Picasso e Magritte. Meneghetti è il primo artista ad usare la radiografia come supporto per le sue opere. Grazie a tale intuizione riesce a stigmatizzare e ad inscheletrire l’apparenza, apparenza quale inganno o apparenza che inganna, e portare le realtà rappresentate all’idea, se non addirittura alla sua primordiale progettazione.
Con una metodica “vivisezione”dell’oggetto o del soggetto arriva all’inconscio dell’uomo e delle cose. Scopre analogie di segni, di oggetti e di dettagli anatomici filtrati dalle radiografie che compone insieme come se desse vita ad un sogno, a volte ad un incubo. Poi li ingrandisce, li elabora e li fissa pittoricamente o chimicamente, creando l’immagine, l’opera d’arte.