Quella di Renato Meneghetti è una pittura che si muove tra ciò che è costruito e ciò che è naturale, tra ciò che è manifesto e ciò che è nascosto.
Essa non si propone come rappresentazione naturalistica del mondo, ma è piuttosto una pittura realista che abbraccia in un unico sguardo, dall’inorganico all’organico, ciò che è visibile e ciò che è invisibile, nella consapevolezza del fatto che tutto proviene da una radice comune.
Nelle opere di Klee, ad esempio, non è l’apparenza delle cose a prendere corpo, bensì il processo della loro formazione, dal quale traggono origine tutte le forme.
La pittura di Meneghetti, quindi, non è mai forma compiuta, poiché questa è considerata tra l’altro come fine e come morte, ma è sempre e piuttosto una formazione in atto.
Così, la sua pittura esprime l’atto del formare, il formare in questo caso di una anatomia umana che la radiografia esprime, dandosi quale metalinguaggio di un’opera d’arte basata in maniera originale su una genesi dell’invisibile, proprio come le opere di Klee. Infatti le radiografie lasciano emergere ciò che comunemente non è visibile, cioè gli assetti scheletrici del corpo umano, nascondendoli nell’invisibile apparente.
Di qui la coesistenza in queste opere di rappresentatività e astrattezza, quasi a suggerire che l’invisibile, l’al di là del quadro si può dare soltanto nell’al di qua del quadro stesso, dal momento che è in questo che la rappresentatività si presenta sempre come la possibilità di riconoscere o di intuire l’invisibile.
La pittura è dunque intesa da parte di Meneghetti come uno svelamento attraverso il quale lo stesso artista restituisce il mondo nascosto, in questo caso quello che appartiene a ciascuno di noi.
Un modo di rendere visibile l’invisibile proprio come frutto di una intelligente genesi densa di armonie osteologiche.
Francesco Carbone