QUASI FURORIS
a cura di Fedor Kriska

Ho avuto modo di familiarizzare con le opere dell’artista Renato Meneghetti (o, dovrei dire, con una piccola parte di esse) in occasione della mia visita di tre giorni allo studio dell’artista a Bassano del Grappa, vicino Padova, nel mese di Gennaio. Poiché non possiedo una conoscenza più profonda riguardo la situazione dell’arte contemporanea italiana e le sue connessioni più estese, le seguenti osservazioni sono valide solo come dichiarazione personale inerente quei frammenti della sua attività che costituiscono la struttura dell’esposizione attualmente in corso a Bratislava.
Meneghetti è autore di una storia creativa, ricca e vasta. Sin dal 1970, la sua prima missione è stata quella di fondare lo studio di grafica e design DDD Design e di renderlo leader nel mondo dell’arte. Tuttavia questa realtà non gli ha assolutamente impedito di prendere in considerazione altre discipline artistiche più libere e spontanee; infatti la realtà è l’esatto opposto. Ha iniziato con monotipi e collage, continuato con pittura, arte plastica, radiografie colorate, ceramiche, oggetti in vetro, musica, film, fotografia, installazioni, e ha realizzato il design architettonico del suo studio, che è oggi un museo dell’automobile.
L’artista dichiara che l’amicizia con il rinomato artista d’avanguardia Lucio Fontana e la sua disamina sociologica della società, sia personale che privata, sono i due principali presupposti del suo sviluppo umano e artistico dopo il tramonto degli anni sessanta. In una sua confessione personale egli afferma: “Le mie opere si sono evolute da un’immaginazione imprevista e da una conseguente esecuzione colma di fervore,” e, “Il miglior dogma è non avere dogmi.” Ciò potrebbe spiegare il suo evidente piacere nel cambiare il proprio programma estetico e creativo, preservando nel contempo la qualità o la sincerità e la plausibilità di opere eseguite con tecniche eterogenee e da vari punti di vista.
Una posizione speciale nella vasta produzione dell’artista è riservata a una disciplina artistica inconsueta e relativamente unica, che egli stesso ha nominato radiografia, i cui componenti principali sono, per l’appunto, radiografie.
Il desiderio eterno dell’uomo di penetrare la superficie delle cose era stato in parte realizzato da W. C. Roentgen, mediante la sua scoperta di quella forma di radiazione conosciuta come raggi X. I risultati di questa invenzione storica hanno ispirato una fase ben distinta nella storia visiva a più strati di Meneghetti.
Le radiografie forniscono un’ispirazione ricca di stimoli per l’espressione dell’artista stesso. Le opere esposte comprovano la teoria per cui anche le fotografie documentarie possono diventare un riflesso dell’intimità dell’autore.
Anche ciò che egli lascia trasparire in esse, il modo in cui le manipola e ciò che ne trae, riflette esaurientemente la sua opinione, la sua visione e la sua considerazione del mondo, o la sensibilità e la forza della sua coscienza. Le radiografie possono essere intese come fatti invariabili che, connessi ad altri fatti reali, producono un artefatto effettivo con significati di ampia portata. Qui l’artista prende coscienza della realtà che azioni o cose che rimangono al loro solito posto, in un ambiente e un tempo comuni, sono sterili e non interessanti. Perciò a volte è necessario spostarle, o piuttosto cambiarne la prospettiva, affinché possano rivelarsi in modo sorprendente nelle loro funzioni uniche, in circostanze e relazioni nuove. Egli può così percepirle come ispirazione visiva per le sue immagini, che nulla hanno in comune con il modello originale, tranne una somiglianza ottica.
All’artista piace lavorare con un segreto, un indizio, un simbolo, con contrasto e assurdità, impiegandoli con uno scopo. È attaccato ai mezzi d’espressione dell’iperrealismo così come all’esagerazione d’autore.
Egli fonde diverse tecniche e, davanti ai nostri occhi, cambia l’identità dei motivi, cita affermazioni di artisti precedenti e le accosta alle proprie definizioni. Ricorre deliberatamente a certi temi e dilemmi di natura artistica al fine di determinarne in modo esauriente le prospettive, quando ciò si dimostri possibile, e di avvicinarsi alla migliore espressione di un’idea.
È spesso ispirato da radiografie del corpo umano (il cranio, la spina dorsale, le articolazioni, le mani, le dita), di corpi di animali, di uccelli, di legna e di paesaggi, che egli riversa su tela ed espone, dipingendone o assemblandone i chiaroscuri, la collocazione nello spazio e i movimenti. Il metodo di discernimento dell’essenza di un fenomeno attraverso le radiografie non ha sempre bisogno di trasparire in modo conforme all’intenzione dell’artista, ma genererà sempre e senza dubbio uno stimolo considerevole per il suo successivo sviluppo e completamento. È di innegabile interesse che anche questo metodo scientifico di conoscenza non porti a un’ulteriore oggettività e ad altre verità assolute per l’espressione artistica. Sono soprattutto i risultati a provocare l’autore, e anche lo spettatore, nella percezione dell’immagine.
Queste opere, oscillando tra fatto e metafora, sono eccitanti e inquietanti, perché realtà e fantasia si toccano, si intrecciano e vi si sovrappongono, ispirandoci inevitabilmente a un cambiamento o a un arricchimento sostanziale della nostra visione del mondo, della nostra missione e del ruolo all’interno di esso.
Le immagini ispirate da una mera tragedia, come l’esecuzione dei partigiani italiani alla fine della II Guerra Mondiale (che possono essere ammirate nella residenza dell’artista a Bassano del Grappa) sono alcune delle più solenni. L’artista riesce ad affrontare anche questo perverso trionfo del potere e della violenza con il suo brillante modo di trattare l’accenno e il dettaglio: nessuna scena patetica, nessuna narrazione letterario-didattica. Il dettaglio delle gambe degli uomini impiccati nella foschia dell’alba è sufficiente. È una rappresentazione estremamente efficace di un fatto storico, una reminiscenza e un’ammonizione per le generazioni presenti e future.
Riguardo alla sofisticata tecnica pittorica dell’artista, bisogna sottolineare che Meneghetti adopera pigmenti diluiti con alcol puro, che in seguito applica a strati sottili su una tela mesticata in precedenza, al fine di produrre un effetto di assorbimento e riflesso della luce mediante le loro magiche qualità. La luce gioca un ruolo importante nell’espressione dell’artista: egli traslumina le radiografie a colore e, così facendo, le attiva e le anima, pone ombre su oggetti installati, crea molteplici riflessi intensi sulle superfici dipinte, aggiunge alla singolare atmosfera nella disposizione di spazi e installazioni… non a caso: M. Grünewald, G. L. Bernini, F. Goya and E. Munch, che erano ben consci della funzione della luce nella costruzione di effetti magici o drammatici nelle loro opere, e che rimangono alcuni dei suoi artisti favoriti.
A dispetto dell’elaborazione perfetta e meticolosa di tutte le opere esposte, il processo della loro creazione è, secondo l’autore stesso, come l’eruzione di un vulcano. “Le mie opere si evolvono sempre con inaspettata intuizione e furore violento,” rivela Meneghetti a proposito del proprio metodo creativo. Infatti, solo questo metodo, questa pressione intensa e questa ineluttabilità interna sono capaci di generare opere d’arte che hanno il diritto di rivolgersi a spettatori sensibili, poiché essi portano il sincero messaggio dell’artista, sebbene, come evidenziato in questo caso, questo sia trasmesso in un linguaggio unico, in una cultura altamente visiva e in un’espressione fortemente visiva.
Sulla base di ciò che ho esposto finora, giungerò alla conclusione delle mie osservazioni con una citazione dall’immortale opera di Cicerone, il De oratore: “Odo spesso che non possa esistere poeta vero che non abbia ardore d’animo e sintomi d’un certo furore” (…sine inflamatione animorum existere posse et sine quodam adflatu quasi furoris).

Fedor Kriska
2002