Gli anni Ottanta sono la decade del corpo, un corpo abbrutito, forzato, strappato alla natura. Il Post-human, sbarcato in Italia con una notissima mostra a Rivoli e celebrato nuovamente proprio quest’anno al pac con “Rosso Vivo”, reclama una estetica nuova, nemica della armonia ricercata dall’Umanesimo in poi. La realtà appare ora come uno scontro di passioni e la rappresentazione del mondo non può prescindere dal principio del caos e della violenza. La rappresentazione del kitsch, e persino dell’orrido, diviene allora necessaria alla verità in un’arte che si prospetta come una forma di realismo e rifiuta consciamente l’utopia. “Se il mondo dovrà esser cambiato – sembra dire – sarà cambiato perché abbiamo mostrato che è rivoltante”. Anche Meneghetti ha composto una serie di lavori sotto il titolo di Post-umani, sette acrilici su tela, dove si vedono profili in pose volutamente ridicole o teatrali, talora contratti in smorfie dolorose, altre volte semplicemente volgari. Nel ciclo delle Fagocitazioni, l’artista aveva già mostrato come la pittura potesse essere lo specchio della durezza del mondo, il luogo ove ‘prenderne coscienza’. Ed i Post-umani sembrano aver accolto quella lezione ed averla resa più chiara mettendo a frutto le conquiste formali delle prime Radiografie e ravvivandola con un tono di evidente ironia, nel gusto redivivo della Pop Art. Non a caso ai Post-umani si accompagna un’altra serie, formalmente assai simile, quella dei Parrucconi.
Maria Luisa Lolli