Ho avuto modo di apprezzare le esperienze di Renato Meneghetti. Si può notare in esse una partecipazione ai temi vivi dell’arte delle nostre stagioni.
Onde sono lieto di presentarlo al pubblico di Bassano, di una città a me rimasta cara in un periodo che affonda ormai all’inizio degli anni Cinquanta, quando cioè vi giungevo da Padova con altri artisti e, forse, con altre convinzioni.
La nostra epoca ammette però soltanto nostalgie private, poiché i linguaggi artistici mutano con ritmo rapidissimo, e grave errore sarebbe rifiutare la sperimentazione presente per rimanere vincolati a quelli che, in passato, ritenevamo valori…
È certo che una soluzione s’impone, oggi come ieri, soprattutto al fine di individuare l’autenticità di una presenza, la legittimità di un messaggio.
E dirò allora che autenticità e legittimità mi paiono sicure in Meneghetti, conquiste da ipotizzare nel futuro.
Mi sembra comunque sia possibile rilevare fin d’ora una coscienza dell’individuale destino: Meneghetti riconoscendo indifferibile l’esigenza di prospettare, in un contesto di raffigurazione pluralistica della realtà, gli eventi e le mitologie dei nostri anni inquieti, e avendo chiara percezione delle possibilità evocative che risiedono nei materiali extra pittorici, ove essi siano scelti e giustapposti in un certo modo strutturale, al punto da perdere la loro fisicità e, con essa, l’inerzia e la viltà di ‘prodotto’ o di rifiuto, per trasformarsi in un veicolo di comunicazione.
Meneghetti tende insomma a impostare col mondo un rapporto diretto, al fine di coglierne gli aspetti anche clamorosi, per denunciarli nel momento stesso della loro obiettiva rappresentazione: aspira al ripristino di un ordine, di una nuova durée, rapportata alla nostra civiltà tecnologica.
Una esperienza, alla fine, integra l’altra: poiché nella dialettica delle cose umane il contingente, l’esistenziale, si pone a prologo di una metamorfosi che ha per conclusione, appunto, l’ordine, la durata.
Questo denoto nelle intenzioni dell’artista; intenzioni leggibili nelle opere, che io mi auguro potranno allargare in futuro le proprie dimensioni, sino a incidere profondamente nel fruitore. Ciò che conta, tuttavia, è la giustezza dell’impostazione che si rileva in Meneghetti: qui non si tratta di firmare una cambiale in bianco ma, più semplicemente, di sollecitare attenzione verso un giovane che palesa del proprio tempo una precisa intelligenza, vivendolo e soffrendolo in pienezza, senza riserve.
(in catalogo della mostra, Bassano, CAB Circolo artistico bassanese, 1964)
Carlo Munari