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l'evento
rientra nel progetto in collaborazione con Direttore: don Walter Insero |
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Renato
Meneghetti: Guardare dentro per vedere oltre “Giuseppe d'Arimatèa...chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse…Vi andò anche Nicodèmo…e portò una mistura di mirra e di àloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto…” (Giovanni, 19, 38-42) “Passato il sabato, all'alba
del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra
Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran
terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò,
rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto
era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo
spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma
l'angelo disse alle donne: "Non abbiate paura, voi! So che
cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto,
come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto.” |
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Le pagine dei Vangeli più drammatiche della vita di
Gesù, che furono anche le prime ad essere scritte, sono
indubbiamente quelle della morte e della resurrezione di Cristo
sulle quali si fonda tutta la fede cristiana. Come tali sono state
oggetto di approfonditi studi teologici e sono state fonte di ispirazione
degli artisti più insigni che, con diversa sensibilità e
qualità artistica, hanno saputo cogliere e rappresentare
il mistero di Dio che si è fatto uomo, è morto ed è risorto.
Tra i capolavori assoluti di questa tradizione artistica si colloca “quello
quadro che fece el Mantegna de quello Cristo ch’è in
scurto”: il Compianto del Cristo morto, conservato
a Brera e dipinto da Andrea Mantegna attorno agli anni 1475-1478. |
Poi il dipinto è entrato
nelle collezioni Gonzaga e, dal secolo successivo, nella bibliografia
specialistica e nei manuali dell’arte italiana, non solo
per l’assoluta novità compositiva e per la qualità del
dipinto, ma per l’intensa drammaticità dell’opera
che invita lo spettatore ad interrogarsi sulla fragilità e
sull’umanità del corpo di Cristo privo di vita. Maria,
la Maddalena e Giovanni, stretti in un angolo ai margini del dipinto,
piangono il figlio martoriato ed il maestro ucciso e sembrano,
nella loro disperazione, lontani dalla gloria della prossima resurrezione.
La straordinarietà dell’opera ha fatto sì che nei secoli moltissimi artisti si siano cimentati nella sua rilettura e in nuove proposte interpretative, dal Compianto sul Cristo morto attribuito al Sodoma giovane, alle opere di Lelio Orsi, di Annibale Carracci, di Orazio Borgianni e del Pordenone sulla controfacciata del Duomo di Cremona. Poi nella produzione artistica del Novecento il soggetto verrà nuovamente riproposto in dipinti, fotografie e filmati d’autore, quale fonte di ispirazione per esprimere i temi della sofferenza umana dovuti alla malattia (Alberto Sughi, Dentro la malattia ), all’emarginazione (Pierpaolo Pasolini, nelle scene finali del film Mamma Roma), alla lotta politica (nelle storiche fotografie del corpo esanime di Che Guevara, vegliato dai compagni). Quello del Mantegna è un Cristo interamente uomo, raffigurato in una scena di potente pathos, in cui sono proprio gli aspetti fisici a colpire lo spettatore: i piedi contratti e forati dai chiodi, il sudario che sagoma le forme di un corpo inerme, la testa abbandonata, la carne livida che contrasta con il colore degli incarnati dei testimoni. Il dolore e la disperazione prevalgono, sembra mancare anche l’attesa della pur più volte annunciata resurrezione. |
Si deve, invece, a Renato
Meneghetti l’aver superato la mera visione del corpo esanime
ed aver ritrovato una potente via espressiva alla trascendenza:
nella sua opera Guardare dentro per vedere oltre il Compianto di
Mantegna ispira in lui la necessità di una rilettura più “completa” della
Passione, che non si esaurisce nei segni della tortura, nelle piaghe,
nel pianto della madre, ma acquista il suo vero, direi unico, valore
nella resurrezione, in quel lampo di luce che ci accoglie all’ingresso
della chiesa e che ci acceca, come accecò le donne al sepolcro.
Una sequenza di otto grandi lastre di perspex (cm 250 x 200) dominano
dall’alto l’aula della chiesa, partendo dall’altare.
Ai piedi della mensa, su una tela emulsionata della stessa misura
della tela del Mantegna (cm 84,5 x 74,5) sono riprodotte, fotografate
in bianco e nero, le parti marginali del dipinto originale (i testimoni
piangenti, il cuscino e la lastra marmorea). Al centro, il corpo
di Cristo è opera autografa ed originale di Renato Meneghetti
realizzata con un montaggio di radiografie eseguite, osso per osso,
direttamente sul proprio corpo, poi rilavorate per ottenere una
struttura scheletrica anatomicamente perfetta, quindi deformate
e “stirate” al computer per adattarle alla prospettiva
di scorcio con un accurato e complesso lavoro, proprio della video
art.
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A questo
punto l’artista è intervenuto sulla tela eseguendo
una pittura “a sottrazione” come lui stesso l’ha
definita. Vale a dire ha steso due strati uniformi e monocromi
di colore (prima il bianco e poi l’azzurro ciano) per poi
asportare il pigmento con un paziente lavoro realizzato a pennello,
con stracci, solventi e piccoli tamponi per ottenere le sfumature
e far emergere gli strati sottostanti che gradualmente danno forma
e profondità alla composizione esaltandone i chiaroscuri. I pigmenti stemperati in alcool vengono distesi sulla superficie dell’opera e fissati con un particolare prodotto ideato da Meneghetti che ha anche la capacità di riflettere la luce e di donare all’opera un vibrante effetto luminoso. Il corpo, in carne ed ossa, del Cristo – Uomo giace sulla pietra. Aver utilizzato le radiografie del proprio corpo per ricercare l’umanità di Cristo non è un atto di ybris da parte di Meneghetti, ma attesta la consapevolezza di un profondo rapporto con il Cristo, che evidentemente ha incontrato nell’intimità del suo essere, egli si pone nella linea dell’autoritratto, secondo una consolidata tradizione dell’arte italiana, molto presente anche nella raffigurazione dei santi e del Cristo. |
La video art viene
nuovamente utilizzata sulle lastre di perspex, sulle quali viene
riprodotto, ingigantito, il solo corpo del Cristo con una graduale
dissolvenza ottenuta togliendo opacità e dando trasparenza
all’immagine originale; la trasparenza del perspex rende la
leggerezza necessaria, che opportunamente aiutata da un maggiore
spessore delle lastre e da una calibrata illuminazione raggiunge
infine il ricercato effetto di “accecamento”.
Secondo le Scritture, da quello scheletro, da quel corpo di Gesù-Uomo si generarono, tre giorni dopo la morte, il grande terremoto che scosse il sepolcro e la luce fortissima che accecò le Marie; questa energia, lastra di perspex dopo lastra di perspex, esplode in una nuova fonte di luce, le membra ascendono al cielo e si manifestano in una dimensione divina. Risuonano potenti nella mente
dello spettatore le parole dell’angelo “Perché cercate
tra i morti colui che è vivo? Non è qui” , oppure
la frase di Gesù riportata nel Vangelo di Giovanni “Vado
e vengo a voi” . Per arrivare alla Resurrezione Meneghetti ha cercato dentro quel corpo torturato, il proprio corpo, con il mezzo espressivo che più di ogni altro artista conosce e padroneggia e di cui è l’inventore: la radiografia. Molti artisti moderni da Bacon a Rauschenberg , fino ai contemporanei
come Massimo Pulini e tanti altri, hanno usato le radiografie,
ma per loro la lastra Xray è un supporto, un materiale
con caratteristiche particolari, non un mezzo per indagare l’inconscio.
I restauratori d’altra parte, utilizzano per i loro interventi
sulle opere del passato le radiografie, mettendo in evidenza
la genesi delle opere, le stesure del colore, i pentimenti. I numerosi critici che fino
ad oggi si sono interessati all’opera di Renato Meneghetti
hanno tutti messo l’accento sulla sua incessante ricerca dell’origine
stessa della creatività andando a recuperare la struttura
della composizione oltre l’aspetto puramente visivo dell’opera.
Gillo Dorfles fu il primo ad attribuire alla ricerca di Renato Meneghetti
e all’uso delle radiografie una rilevanza critica, fortemente
innovativa, capace di aprire nuovi linguaggi per l’arte contemporanea
in Italia. Ecco dunque affiorare gradualmente
la necessità di dare un senso a quella domanda, a quel “guardare
dentro” per cercare il motore di tutte le cose, quel Dio che è il
fine ultimo della nostra esistenza. Quando visitai la Biennale di
Venezia rimasi talmente colpito e coinvolto dallo spessore comunicativo
e spirituale dell’opera che subito suggerii al Maestro di promuoverne
nuove esposizioni per rafforzare l’impatto drammatico con nuove
e diverse installazioni. Come ad esempio all’Accademia di Brera
a Milano vicino e in diretto “dialogo” con il dipinto
originale del Mantegna per enfatizzare il rapporto tra le due opere,
oppure a Roma, in occasione della Settimana Santa, per sottolineare
il profondo significato religioso del mistero della morte e risurrezione
di Gesù. |
La novità rispetto
all’edizione veneziana consiste nell’aver concentrato
l’attenzione sull’installazione, averla esposta all’interno
di una chiesa aperta al culto, e quindi averla accompagnata con
i canti gregoriani della Settimana Santa, eseguiti dalla Schola
Cantorum dei Monaci Benedettini Olivetani dell’Abbazia
di Monte Oliveto Maggiore.
La perfetta coincidenza tra il Compianto sul Cristo morto reinterpretato da Renato Meneghetti e l’altare posto nel presbiterio della chiesa di Santa Maria in Montesanto è volutamente ricercata per offrire ai fedeli un momento di meditazione sul corpo di Cristo morto e sul mistero della risurrezione e ascensione in occasione della Settimana Santa. Il “guardare dentro” di Meneghetti ha la duplice finalità di svelare definitivamente ogni dubbio tommaseo, sulla natura umana e divina di Gesù morto e risorto, e dall’altra di invitare ognuno di noi a ricercare nella propria intimità una esperienza mistica interiore. In questo sguardo puro e sincero, sebbene a volte crudo, sta la “fede” di Meneghetti, che gli permette di “vedere oltre” per arrivare all’incontro con Dio. Il corpo di Gesù non subisce corruzione, risorge trasformandosi in “luce” e ci appare, come il Risorto che si manifestò a Saulo lungo la via di Damasco e gli parlò nella sua stessa lingua. |
Meneghetti arriva alla
consapevolezza che la risurrezione di Gesù non è legata
alle leggi della corporeità, le leggi dello spazio e del
tempo; la sua opera diventa l’espressione di “questa
sorprendente dialettica tra identità ed alterità,
tra vera corporeità e libertà dai legami del corpo
in cui si manifesta l’essenza peculiare, misteriosa della
nuova esistenza del Risorto … Egli è lo stesso – un
Uomo in carne e ossa – ed Egli è anche il Nuovo,
Colui che è entrato in un genere diverso di esistenza … come
Uomo Egli ha patito ed è morto; ora vive in modo nuovo
nella dimensione del Dio vivente; appare come vero Uomo e tuttavia
a partire da Dio – è Egli stesso Dio.” È impressionante
come queste parole di Benedetto XVI siano un perfetto commento
all’opera di Renato Meneghetti e come ci forniscano, in
un passo successivo, la giusta chiave di interpretazione: “Gesù non è,
come i discepoli nel primo momento temono, un fantasma, uno spirito,
ma ha carne e ossa. La risurrezione è un evento dentro
la storia che, tuttavia, infrange l’ambito della storia
e va al di là di essa. L’Uomo Gesù appartiene
ora proprio anche con lo stesso suo corpo totalmente alla sfera
del divino e dell’eterno. La risurrezione di Gesù va
al di là della storia, ma ha lasciato una sua impronta
nella storia.”
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Se continuiamo nell’analisi teologica dell’installazione
ci accorgiamo che il percorso compiuto da Renato Meneghetti
nel “guardare dentro per vedere oltre”, non è altro
che il completamento del mistero cristologico della morte
e risurrezione e ascensione di Gesù, mirabilmente
sintetizzata da nostro Signore nella frase riportata nel
Vangelo di Giovanni: “Vado e vengo a voi” ,
in quanto Gesù, oramai asceso alla destra del Padre,
non risulta comunque lontano da tutti noi uomini mortali,
e proprio il duplice e contrapposto concetto dell’andare
e del venire ci indica la via per giungere a Lui. Quella
via di luce che Meneghetti ha indicato con le sue lastre
di perspex e che Benedetto XVI magistralmente definisce
una “navigazione spaziale del cuore che conduce
ad una nuova dimensione dell’amore divino”.
Renato Meneghetti ha voluto indicare questo amore divino facendoci alzare lo sguardo oltre il misero contingente della vita quotidiana per … “vedere oltre”.
clicca
qui per la versione integrale del saggio del Prof. Francesco
Buranelli: |