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22 marzo - 14 aprile 2012
Basilica di Santa Maria di Monte Santo, Piazza del Popolo. ROMA







 

l'evento rientra nel progetto

"Una porta verso l'infinito. L'uomo e l'Assoluto nell'arte"
a cura
dell'Ufficio Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma

in collaborazione con
Pontificio Consiglio della Cultura

Direttore: don Walter Insero
Direzione Artistica: Francesco d'Alfonso
Consulenza Artistica: Silvia Marsano, Marilena Borriello
Consulenza Organizzativa: don Francesco Indelicato, Anna Giannelli

 


Renato Meneghetti: Guardare dentro per vedere oltre

a cura di Francesco Buranelli
Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa

“Giuseppe d'Arimatèa...chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse…Vi andò anche Nicodèmo…e portò una mistura di mirra e di àloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto…” (Giovanni, 19, 38-42)

“Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l'angelo disse alle donne: "Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto.”
(Matteo 28,1-6).

Le pagine dei Vangeli più drammatiche della vita di Gesù, che furono anche le prime ad essere scritte, sono indubbiamente quelle della morte e della resurrezione di Cristo sulle quali si fonda tutta la fede cristiana. Come tali sono state oggetto di approfonditi studi teologici e sono state fonte di ispirazione degli artisti più insigni che, con diversa sensibilità e qualità artistica, hanno saputo cogliere e rappresentare il mistero di Dio che si è fatto uomo, è morto ed è risorto.

Tra i capolavori assoluti di questa tradizione artistica si colloca “quello quadro che fece el Mantegna de quello Cristo ch’è in scurto”: il Compianto del Cristo morto, conservato a Brera e dipinto da Andrea Mantegna attorno agli anni 1475-1478.
Vi è raffigurato con un audace scorcio prospettico il corpo morto di Cristo parzialmente coperto dal lenzuolo funebre deposto sulla pietra dell’unzione, o secondo altre letture direttamente nel sepolcro. Un quadro realizzato per un uso devozionale, probabilmente privato, come farebbe pensare la sua presenza in casa Mantegna ancora alla morte dell’artista.

Poi il dipinto è entrato nelle collezioni Gonzaga e, dal secolo successivo, nella bibliografia specialistica e nei manuali dell’arte italiana, non solo per l’assoluta novità compositiva e per la qualità del dipinto, ma per l’intensa drammaticità dell’opera che invita lo spettatore ad interrogarsi sulla fragilità e sull’umanità del corpo di Cristo privo di vita. Maria, la Maddalena e Giovanni, stretti in un angolo ai margini del dipinto, piangono il figlio martoriato ed il maestro ucciso e sembrano, nella loro disperazione, lontani dalla gloria della prossima resurrezione.

La straordinarietà dell’opera ha fatto sì che nei secoli moltissimi artisti si siano cimentati nella sua rilettura e in nuove proposte interpretative, dal Compianto sul Cristo morto attribuito al Sodoma giovane, alle opere di Lelio Orsi, di Annibale Carracci, di Orazio Borgianni e del Pordenone sulla controfacciata del Duomo di Cremona. Poi nella produzione artistica del Novecento il soggetto verrà nuovamente riproposto in dipinti, fotografie e filmati d’autore, quale fonte di ispirazione per esprimere i temi della sofferenza umana dovuti alla malattia (Alberto Sughi, Dentro la malattia ), all’emarginazione (Pierpaolo Pasolini, nelle scene finali del film Mamma Roma), alla lotta politica (nelle storiche fotografie del corpo esanime di Che Guevara, vegliato dai compagni).

Quello del Mantegna è un Cristo interamente  uomo, raffigurato in una scena di potente pathos, in cui sono proprio gli aspetti fisici a colpire lo spettatore: i piedi contratti e forati dai chiodi, il sudario che sagoma le forme di un corpo inerme, la testa abbandonata, la carne livida che contrasta con il colore degli incarnati dei testimoni. Il dolore e la disperazione prevalgono, sembra mancare anche l’attesa della pur più volte annunciata resurrezione.

Si deve, invece, a Renato Meneghetti l’aver superato la mera visione del corpo esanime ed aver ritrovato una potente via espressiva alla trascendenza: nella sua opera Guardare dentro per vedere oltre il Compianto di Mantegna ispira in lui la necessità di una rilettura più “completa” della Passione, che non si esaurisce nei segni della tortura, nelle piaghe, nel pianto della madre, ma acquista il suo vero, direi unico, valore nella resurrezione, in quel lampo di luce che ci accoglie all’ingresso della chiesa e che ci acceca, come accecò le donne al sepolcro. Una sequenza di otto grandi lastre di perspex (cm 250 x 200) dominano dall’alto l’aula della chiesa, partendo dall’altare. Ai piedi della mensa, su una tela emulsionata della stessa misura della tela del Mantegna (cm 84,5 x 74,5) sono riprodotte, fotografate in bianco e nero, le parti marginali del dipinto originale (i testimoni piangenti, il cuscino e la lastra marmorea). Al centro, il corpo di Cristo è opera autografa ed originale di Renato Meneghetti realizzata con un montaggio di radiografie eseguite, osso per osso, direttamente sul proprio corpo, poi rilavorate per ottenere una struttura scheletrica anatomicamente perfetta, quindi deformate e “stirate” al computer per adattarle alla prospettiva di scorcio con un accurato e complesso lavoro, proprio della video art.
A questo punto l’artista è intervenuto sulla tela eseguendo una pittura “a sottrazione” come lui stesso l’ha definita. Vale a dire ha steso due strati uniformi e monocromi di colore (prima il bianco e poi l’azzurro ciano) per poi asportare il pigmento con un paziente lavoro realizzato a pennello, con stracci, solventi e piccoli tamponi per ottenere le sfumature e far emergere gli strati sottostanti che gradualmente danno forma e profondità alla composizione esaltandone i chiaroscuri.
I pigmenti stemperati in alcool vengono distesi sulla superficie dell’opera e fissati con un particolare prodotto ideato da Meneghetti che ha anche la capacità di riflettere la luce e di donare all’opera un vibrante effetto luminoso. Il corpo, in carne ed ossa, del Cristo – Uomo giace sulla pietra.


Aver utilizzato le radiografie del proprio corpo per ricercare l’umanità di Cristo non è un atto di ybris da parte di Meneghetti, ma attesta la consapevolezza di un profondo rapporto con il Cristo, che evidentemente ha incontrato nell’intimità del suo essere, egli si pone nella linea dell’autoritratto,  secondo una consolidata tradizione dell’arte italiana, molto presente anche nella raffigurazione dei santi e del Cristo.
La video art viene nuovamente utilizzata sulle lastre di perspex, sulle quali viene riprodotto, ingigantito, il solo corpo del Cristo con una graduale dissolvenza ottenuta togliendo opacità e dando trasparenza all’immagine originale; la trasparenza del perspex rende la leggerezza necessaria, che opportunamente aiutata da un maggiore spessore delle lastre e da una calibrata illuminazione raggiunge infine il ricercato effetto di “accecamento”.

Secondo le Scritture, da quello scheletro, da quel corpo di Gesù-Uomo si generarono, tre giorni dopo la morte, il grande terremoto che scosse il sepolcro e la luce fortissima che accecò le Marie; questa energia, lastra di perspex dopo lastra di perspex, esplode in una nuova fonte di luce, le membra ascendono al cielo e si manifestano in una dimensione divina.

Risuonano potenti nella mente dello spettatore le parole dell’angelo “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui” , oppure la frase di Gesù riportata nel Vangelo di Giovanni “Vado e vengo a voi” .
Questo il significato del titolo scelto per l’installazione Guardare dentro per vedere oltre, la narrazione, cioè, del percorso introspettivo compiuto da Renato Meneghetti che In interiore intimo suo, per usare le parole di sant’Agostino, ha trovato il “luogo” del suo incontro con Dio.

Per arrivare alla Resurrezione Meneghetti ha cercato dentro quel corpo torturato, il proprio corpo, con il mezzo espressivo che più di ogni altro artista conosce e padroneggia e di cui è l’inventore: la radiografia.

Molti artisti moderni da Bacon a Rauschenberg , fino ai contemporanei come Massimo Pulini e tanti altri, hanno usato le radiografie, ma per loro la lastra Xray è un supporto, un materiale con caratteristiche particolari, non un mezzo per indagare l’inconscio. I restauratori d’altra parte, utilizzano per i loro interventi sulle opere del passato le radiografie, mettendo in evidenza la genesi delle opere, le stesure del colore, i pentimenti.
Meneghetti dipinge le sue radiografie, cercando la struttura dei corpi, e perfino degli oggetti, per capire che cosa sorregge quella figure, che cosa c’è dentro e oltre. Dal 1978, infatti il maestro ha elaborato un suo linguaggio artistico attraverso la “finzione” della tecnica della radiografie fino ad applicarla ai soggetti pittorici dei “grandi maestri” del passato.                                                              clicca qui per approfondire il ciclo "GRANDI MAESTRI"

I numerosi critici che fino ad oggi si sono interessati all’opera di Renato Meneghetti hanno tutti messo l’accento sulla sua incessante ricerca dell’origine stessa della creatività andando a recuperare la struttura della composizione oltre l’aspetto puramente visivo dell’opera. Gillo Dorfles fu il primo ad attribuire alla ricerca di Renato Meneghetti e all’uso delle radiografie una rilevanza critica, fortemente innovativa, capace di aprire nuovi linguaggi per l’arte contemporanea in Italia.
Tappe fondamentali di questo percorso artistico e della ricerca maturata con l’inizio del nuovo millennio sono state la grande e bella mostra allestita a Roma nel 2006 e la più piccola, ma forse più significativa, esposizione realizzata a Bassano del Grappa nel 2011 .
Achille Bonito Oliva ha evidenziato con grande efficacia le capacità di Meneghetti di ricostruire, di fatto distruggendo, l’oggetto dall’inconscio, arrivando ad affrontare l’origine dell’esistenza. Un ricerca maturata “guardando dentro” ad una infinità di capolavori pittorici di tutti i tempi da Caravaggio, a Giotto, da Perugino, a Michelangelo, a Leonardo da Vinci, fino a Van Gogh, Picasso e Magritte, non per un puro esercizio tecnico, ma per una ricerca senza sosta che lo porta ad affrontare le domande basilari della nostra realtà terrena.                            clicca qui per approfondire l'ANTOLOGIA CRITICA

Ecco dunque affiorare gradualmente la necessità di dare un senso a quella domanda, a quel “guardare dentro” per cercare il motore di tutte le cose, quel Dio che è il fine ultimo della nostra esistenza.
In questo suo cammino Renato Meneghetti è approdato a questa installazione, recentemente presentata alla 54esima Biennale di Arte Contemporanea di Venezia allora intitolata Sottopelle – Lamento sul Cristo morto del Mantegna . L’opera centrale dell’installazione, con la presentazione di Marco Nereo Rotelli e di Andrea Zanzotto, venne esposta anche nel Padiglione Italia, curato da Vittorio Sgarbi.
                                                                                                     clicca qui per approfondire 54a Biennale di Venezia - SOTTOPELLE. Il Cristo morto del Mantegna

Quando visitai la Biennale di Venezia rimasi talmente colpito e coinvolto dallo spessore comunicativo e spirituale dell’opera che subito suggerii al Maestro di promuoverne nuove esposizioni per rafforzare l’impatto drammatico con nuove e diverse installazioni. Come ad esempio all’Accademia di Brera a Milano vicino e in diretto “dialogo” con il dipinto originale del Mantegna per enfatizzare il rapporto tra le due opere, oppure a Roma, in occasione della Settimana Santa, per sottolineare il profondo significato religioso del mistero della morte e risurrezione di Gesù.
Da questi colloqui, e da numerosi successivi incontri nacque l’idea dell’istallazione che oggi  inauguriamo nella chiesa di Santa Maria in Montesanto a Roma, nota anche come “chiesa degli artisti”, grazie anche alla disponibilità ed alla sensibilità dei colleghi del Vicariato di Roma che l’hanno accolta nel loro progetto Una porta verso l’Infinito – L’uomo e l’Assoluto nell’arte.

La novità rispetto all’edizione veneziana consiste nell’aver concentrato l’attenzione sull’installazione, averla esposta all’interno di una chiesa aperta al culto, e quindi averla accompagnata con i canti gregoriani della Settimana Santa, eseguiti dalla Schola Cantorum dei Monaci Benedettini Olivetani dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore.
La perfetta coincidenza tra il Compianto sul Cristo morto reinterpretato da Renato Meneghetti e l’altare posto nel presbiterio della chiesa di Santa Maria in Montesanto è volutamente ricercata per offrire ai fedeli un momento di meditazione sul corpo di Cristo morto e sul mistero della risurrezione e ascensione in occasione della Settimana Santa.
Il “guardare dentro” di Meneghetti ha la duplice finalità di svelare definitivamente ogni dubbio tommaseo, sulla natura umana e divina di Gesù morto e risorto, e dall’altra di invitare ognuno di noi a ricercare nella propria intimità una esperienza mistica interiore.
In questo sguardo puro e sincero, sebbene a volte crudo, sta la “fede” di Meneghetti, che gli permette di “vedere oltre” per arrivare all’incontro con Dio. Il corpo di Gesù non subisce corruzione, risorge trasformandosi in “luce” e ci appare, come il Risorto che si manifestò a Saulo lungo la via di Damasco e gli parlò nella sua stessa lingua.
Meneghetti arriva alla consapevolezza che la risurrezione di Gesù non è legata alle leggi della corporeità, le leggi dello spazio e del tempo; la sua opera diventa l’espressione di “questa sorprendente dialettica tra identità ed alterità, tra vera corporeità e libertà dai legami del corpo in cui si manifesta l’essenza peculiare, misteriosa della nuova esistenza del Risorto … Egli è lo stesso – un Uomo in carne e ossa – ed Egli è anche il Nuovo, Colui che è entrato in un genere diverso di esistenza … come Uomo Egli ha patito ed è morto; ora vive in modo nuovo nella dimensione del Dio vivente; appare come vero Uomo e tuttavia a partire da Dio – è Egli stesso Dio.” È impressionante come queste parole di Benedetto XVI siano un perfetto commento all’opera di Renato Meneghetti e come ci forniscano, in un passo successivo, la giusta chiave di interpretazione:  “Gesù non è, come i discepoli nel primo momento temono, un fantasma, uno spirito, ma ha carne e ossa. La risurrezione è un evento dentro la storia che, tuttavia, infrange l’ambito della storia e va al di là di essa. L’Uomo Gesù appartiene ora proprio anche con lo stesso suo corpo totalmente alla sfera del divino e dell’eterno. La risurrezione di Gesù va al di là della storia, ma ha lasciato una sua impronta nella storia.”
Se continuiamo nell’analisi teologica dell’installazione ci accorgiamo che il percorso compiuto da Renato Meneghetti nel “guardare dentro per vedere oltre”, non è altro che il completamento del mistero cristologico della morte e risurrezione e ascensione di Gesù, mirabilmente sintetizzata da nostro Signore nella frase riportata nel Vangelo di Giovanni: “Vado e vengo a voi” , in quanto Gesù, oramai asceso alla destra del Padre, non risulta comunque lontano da tutti noi uomini mortali, e proprio il duplice e contrapposto concetto dell’andare e del venire ci indica la via per giungere a Lui. Quella via di luce che Meneghetti ha indicato con le sue lastre di perspex e che Benedetto XVI magistralmente definisce una “navigazione spaziale del cuore che conduce ad una nuova dimensione dell’amore divino”.
Renato Meneghetti ha voluto indicare questo amore divino facendoci alzare lo sguardo oltre il misero contingente della vita quotidiana per … “vedere oltre”.


Renato Meneghetti: Guardare dentro per vedere oltre
a cura di Francesco Buranelli
Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa

clicca qui per la versione integrale del saggio del Prof. Francesco Buranelli:
"Guardare Dentro per Vedere Oltre"




 

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