Da simbolo a Segno
Golghota Quotidiano
a cura di Francesco Buranelli
La croce è uno dei più potenti simboli archetipici: un “segno” che, travalicando fattori storici o geografici, rende immediatamente comprensibile un concetto assoluto, preesistente e primitivo. Dalla Cina all’Egitto, dall’antica Mesopotamia alle civiltà del Mediterraneo - Fenici, Greci e Romani - fino alle attestazioni delle civiltà nell’America centrale e nell’Africa, la croce riassume in sé significati e valenze diversi e complementari. Tuttavia solo dopo la morte in croce di Gesù Cristo e da quando l’imperatore Costantino, nel 313 d.C., assunse la croce (in hoc signo vinces) come simbolo e insegna di vittoria nella battaglia di Ponte Milvio contro le armate consanguinee di Massenzio, la croce è divenuta il “segno” più incisivo e universale dell’umanità.
L’iconografia della Crocifissione apparve molto tardi nella simbologia cristiana: per i primi credenti era infatti difficile veder uniti in una stessa immagine la figura venerata del Cristo, del Pastor Bonus, con lo strumento di una morte atroce e, soprattutto, infamante.
Proprio per questo motivo le più antiche rappresentazioni di Croci del II - III secolo saranno generiche Croci senza Cristo, destinate solo a ricordare il patibolo dove il Salvatore si è immolato.
Solo a partire dal IV secolo l’iconografia cristiana raffigurerà sulla Croce il Christus triumphans, vale a dire il Cristo vincitore sulla morte, crocifisso ma vivo, già risuscitato, con gli occhi aperti e lo sguardo rivolto verso l’osservatore. L’iconografia del Christus patiens, ovvero del Cristo morto o agonizzante, apparirà solo molto tempo dopo, quando il Crocifisso avrà assunto un valore universale di identità cristiana.
Nei secoli non si contano le raffigurazioni artistiche che, in mille varianti, hanno proposto allo sguardo degli uomini la Croce, tuttavia, sarà proprio il Novecento a riproporla in tutta la sua drammaticità, facendone il simbolo della sofferenza dell’umanità.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, complici le atrocità della storia, si assiste ad un moltiplicarsi di artisti che affrontano non solo tematiche sacre, ma in particolar modo la crocifissione. Ricordiamo a titolo di esempio solo alcune di esse, tra le quali primeggiano le famose e “scandalose” opere di Giacomo Manzù, di Renato Guttuso, di Mario Sironi e di Ottone Rosai, oltre quelle di Lucio Fontana e di Emilio Vedova.
E così avviandoci verso la fine del Novecento – passando da Salvador Dalí a Francesco Messina – la croce è stata spesso “laicizzata”, trasformandosi da “simbolo” a “segno” e subendo una apparente riduzione del suo valore religioso o spirituale.
In questa scia si inserisce Renato Meneghetti il quale vuole oggi, in questa mostra totalmente inedita nella sua formulazione, far dialogare tra loro tre creazioni distinte della sua produzione artistica, tutte diverse, ma fortemente connesse al “segno” della croce. Una scelta coraggiosa, inusuale vede accostati il Golgota quotidiano del 1999 – che ha offerto il titolo a questa esposizione – Nulla vita ex hoc pane del 2002 e Kiss to Camilla del 2013.
In tutte le composizioni di Meneghetti si percepisce, direi al primo sguardo, l’intento di evadere dall’iconografia religiosa, dal “devozionale”, ricercando nella sua arte valori e significati veramente e profondamente trascendenti che “devono” emergere da una precisa realizzazione della forma, del colore, dei materiali. Tre esperienze diverse, nate in diversi momenti della vita dell’artista, che narrano l’evoluzione cronologica e emotiva della sua visione del mondo.
Cinque croci di diverse altezze, formate da lastre radiografiche dipinte compresse nel plexiglass compongono un suggestivo e raffinato Golgota quotidiano nel quale ogni visitatore si potrà riconoscere in una umana “passione” aperta alla libera personalizzazione. Il colore rosso allude al sacrificio, al sangue, quale evidente segno del dolore corporale che Meneghetti esalta con l’uso dei referti radiografici che costituisce oramai la sua cifra inconfondibile. Un linguaggio artistico che attraverso la “finzione” della tecnica radiografica – come ha efficacemente indicato Achille Bonito Oliva – ricostruisce, di fatto distruggendo, il soggetto dall’inconscio, arrivando ad affrontare l’origine e la ragione stessa dell’esistenza. Con una metodica “vivisezione” del soggetto Renato Meneghetti indaga l’inconscio dell’uomo, scopre analogie di segni e di dettagli anatomici filtrati dalle radiografie che compone insieme come se desse vita ad un sogno, a volte anche ad un incubo. Poi li ingrandisce, li elabora e li fissa pittoricamente o chimicamente, creando l’immagine, l’opera d’arte.
Una ricerca maturata “guardando dentro”, nell’intimità dell’uomo, che Renato Meneghetti – grazie ad una potente intuizione che non è solo estetica, ma anche e soprattutto metafisica – riesce a stigmatizzare in una apparenza che ci mette a nudo con noi stessi e con la nostra anima. Ci svela la realtà del nostro essere, ci consente di superare il senso della fragilità dell’uomo ossia, ci proietta con la luce che invera la realtà in un mondo di libertà spirituale ed intellettuale tale da superare le sofferenze e le difficoltà che ci hanno fatti sentire “crocifissi”.
Se Golgota quotidiano è incitamento a superare le difficoltà della vita meditando sulla fugacità dell’esistenza, Nulla vita ex hoc pane è, al contrario, una aperta denuncia dei falsi idoli della nostra epoca: potere e denaro.
Diverso il significato, diverso il mezzo.
Sei casse militari, un tempo contenenti bombe, sono disposte in terra a formare una croce spezzata. In esse sono state tesaurizzate quarantamila monete appositamente “coniate” dall’artista con dischetti di perspex contenenti frammenti di radiografie di falangi umane, piccole ossa o generiche parti del corpo di un uomo: una denuncia appassionata e sconsolata di quanto la guerra generi distruzione e procuri la morte, fisica ed etica, di popolazioni inermi e indifese.
Con una espressione ambigua, come ambigua è la realtà del “consumismo” odierno, Meneghetti rappresenta addirittura la croce spezzata, infranta nella deflagrazione di tante atrocità e malvagità, ma anche corrotta dal denaro macchiato dal sangue e segnato dalla sofferenza di tante vittime innocenti. Quanto mai attuali, infatti, risultano a tale proposito gli ammonimenti che Papa Francesco ha più volte pronunciato in questi primi mesi di pontificato volti a stimolare gli uomini a non rimanere sedotti dai moderni idoli del denaro e del potere. “Ricchezza e vanità” ha detto il pontefice, sono le due tentazioni dalle quali devono guardarsi governanti, vescovi e sacerdoti, “il vero potere è il servizio”, la solidarietà verso l’altro.
L’ultima sezione della mostra è, infine, dedicata all’uomo che più di ogni altro ha saputo mostrare al mondo intero come si possa e si debba portare la croce, per sé e per gli altri. Fu infatti il Beato Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato, a proclamare – con il “linguaggio” della sofferenza – la parola di Dio e a portare sul suo stesso corpo la croce, in una vera e commovente Imitatio Christi.
Un pontefice romano, che con naturale semplicità e straordinaria volontà ha mostrato a credenti e non credenti le debolezze di un fisico malato e sofferente e, nello stesso tempo, ha testimoniato tutta la forza di una Fede granitica e di una indomita forza morale. Un Papa amato, capace di gesti di grande significato, ma irremovibile nella sua difesa della vita e dei diritti degli indifesi. Prendendo ancora una volta le mosse dal suo inesauribile desiderio di guardare oltre l’immagine esteriore, Renato Meneghetti, per questo ciclo di opere intitolato Kiss to Camilla, torna ad essere pittore e supera l’esperienza radiografica, spostando la sua attenzione sull’ecografia.
Con un lungo procedimento tecnico l’artista depura una fotografia di profilo di Giovanni Paolo II e l’accosta all’ecografia prenatale della nipotina Camilla, creando, con un accurato e lunghissimo lavoro di Visual Art, l’immagine base dell’opera. Quindi la trasferisce su tele 30 x 30 con la tecnica dell’emulsione ripetuta e serializzata e rivelata in vivide tonalità di colore alla maniera della Pop Art.
Le compone poi in diverse forme di croce, in un ideale mosaico, sul quale interverrà ulteriormente in fase di rifinitura con mirati e caratterizzanti ritocchi a pastello e matite colorate. A questo punto, sfruttando lo spessore dei telai, l’artista infonde movimento alle opere, creando di fatto una tridimensionalità su tre differenti livelli di aggetto. Un fondale variopinto dai colori brillanti dal quale emerge una candida e luminosa croce bianca, simbolo della purezza dell’infanzia e della luce divina, al centro della quale emerge ulteriormente il Papa nel suo tenero e affettuoso bacio a Camilla.
La finitura finale con una resina lucida e riflettente reinventa l’opera: Meneghetti con questo intervento conclusivo infonde una luce propria alle immagini, le rende più profonde, ne esalta la luminosità arrivando a cogliere in pieno il significato agostiniano della luce intesa come scintilla animae, che rivela la presenza e la guida di Dio nell’azione pastorale del Pontefice.
Ma non è solo questo ad emozionarci: lo spettatore che si porrà di fronte a questa serie di opere verrà direttamente coinvolto intravedendo la propria immagine riflessa nello spesso strato di resina. L’artista ci invita a partecipare al Calvario, ad entrare nella Croce e a farcene carico: non ci sarà consentito restare indifferenti. L’opera è sorprendente per la sua vivacità cromatica e per i suoi molteplici significati, dolorosa e commovente nel ricordo del Papa “Santo subito”, tragica nella forma simbolica della Croce e tuttavia “solare” nella scelta dei colori puri e splendente nella luminosità delle formelle.
Il cupo pessimismo del Nulla vita ex hoc pane, lo strazio del Golgota quotidiano si sciolgono nel tenero bacio del Beato Papa all’umanità tutta, riassunta nel morbido profilo di Camilla. Prorompono pur nel segno doloroso della Croce, anzi dall’essenza stessa della Croce, un desiderio di speranza, di superamento di ciò che ci tormenta. Desideriamo tutti, come i bimbi del Vangelo di Marco, essere vicini alla salvezza, avvicinarci alla Luce ed essere accolti da un tenero abbraccio: “lasciate che vengano a me”, tutti.
Francesco Buranelli
Il Miracolo del Pane e del Vino a cura di Laura Villani La mostra intende evidenziare come i calici abbiano un valore fortemente simbolico della presenza del divino nella nostra vita e racchiudano l’essenza del messaggio religioso lungo il filo del mistero e della rivelazione sospeso tra vita terrena ed ultraterrena, tra immanente e trascendente. La collezione di calici, simbolo della trascendenza, oltre ad essere un oggetto della liturgia e del mistero della religione cattolica rappresenta un oggetto che rappresenta la dignità, il divino, la regalità e la religiosità. La mostra articolata in una sequenza di calici eucaristici appositamente realizzati per l’occasione da importanti artisti internazionali, può fungere da filo conduttore che permette di celebrare i festeggiamenti riservati a un ospite di eccezione, che viene ricevuto ed ospitato a Assisi. La mostra inoltre in occasione della venuta del Pontefice Francesco ad Assisi, vuole celebrare la storia del Santo Patrono d’Italia, la storia millenaria di Assisi e gli artisti autori dei calici d’autore in un evento di grande valore simbolico e comunicativo dove il concetto di pane è trasfigurato in pane per l’anima dove l’arte diventa emblema di unione tra i popoli, ambasciatrice di pace e di condivisione di valori. La mostra, inaugurata ufficialmente nel corso della visita del Pontefice ad Assisi il 4 ottobre p.v. alla presenza degli artisti, della stampa, di personalità ed autorità italiane e internazionali invitate per questa occasione, potrebbe prevedere la presenza di Andrea Bocelli che in questa occasione farebbe dono al Pontefice del Calice realizzato dallo scultore Renato Meneghetti. In omaggio al Pontefice in occasione della sua prima visita ufficiale ad Assissi la mostra vuole anche rendere testimonianza dell Miracolo Eucaristico di Buenos Aires di cui Papa Francesco è stato testimone in qualità di Vescovo (quindi Arcivescovo e Cardinale nel 2001) della Città di Buenos Aires. L’allestimento della mostra, che vuole dare al visitatore la sensazione di penetrare in uno spazio di trascendenza e di passaggio dalla terra al cielo, prevede l’utilizzo di un numero ristretto ma molto significativo di opere d’arte sulle quali concentrare l’attenzione del visitatore, in un percordo di suggestione. Ad accogliere il pubblico un ambiente contemporaneo che espliciterà la connessione armonica di terra-cielo, ideato da Lucio Dalla con la rappresentazione trasfigurata dell’Ultima Cena. L’installazione andrà a costituire un messaggio sospeso tra passato e futuro, un momento di perfetta armonia tra vita terrena e trascendenza, tra uomo e dio che è presente anche nella natura che ci circonda (l’uva, il frumento come doni meravigliosi). |